lunedì 8 agosto 2016

Corte di Cassazione. Sezioni Unite Penali: giudice di appello tenuto a riacquisire le prove in caso di ribaltamento della sentenza assolutoria di primo grado in virtù del "principio della parità delle armi"

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Corte di Cassazione. Sezioni Unite Penali:  giudice di appello tenuto a riacquisire le prove in caso di ribaltamento della sentenza assolutoria di primo grado in virtù del "principio della parità delle armi" di cui all'art. 6, par. 3, lett. d), della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali






Le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione con Sentenza  n. 27620 del 6 Luglio 2016, relatore Giovanni Conti, hanno sancito che giudice di appello tenuto a riacquisire le prove in caso di ribaltamento di sentenza assolutoria di primo grado in virtù del principio della parità delle armi di cui all'art. 6, par. 3, lett. d), della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali: diritto dell'imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico.

Il caso rimesso all’attenzione delle Sezioni Unite Penali era




 quello di un cittadino indiano dichiarato colpevole del reato di cui all'art. 81 c.p., comma 2, e art. 629 c.p., comma 1, per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, con richiesta di una somma di denaro rivolta a terzi , alla cui dazione aveva subordinato la consegna del nulla osta da lui ottenuto per l'ingresso in Italia di altro cittadino straniero, alla cui dazione aveva subordinato la sottoscrizione di un contratto di lavoro necessario per l'ottenimento di un permesso di soggiorno, costretto altro cittadino straniero a versare la somma di E. 7.000.

Il ricorrente veniva arrestato in flagranza, nell'atto di ricevere una busta chiusa in cui, d'intesa con la polizia, quest'ultimo aveva riposto banconote previamente fotocopiate.

Il Tribunale di Mantova aveva assolto lo straniero imputato reputando insufficiente la prova circa la commissione del fatto estorsivo. L’imputato riferiva che le somme di denaro che gli erano state consegnate si riferivano, quanto alla somma di Euro 4.500, a titolo di restituzione di un precedente prestito, e, per la restante parte, pari a Euro 1.500 Euro, sulla base di un libero accordo, a titolo di anticipo per consentirgli di stipulare un nuovo contratto di locazione per un'abitazione più ampia, nella quale poter ospitare altro l’altro cittadino straniero. Quanto alla ulteriore richiesta di denaro, essa era stata giustificata dall'imputato, nella sola misura di Euro 1.000, pari all'importo della cauzione di due mensilità da corrispondere al locatore della nuova casa. Veniva sentita in merito anche la moglie del ricorrente la quale confermava la versione del coniuge specificando di avere a suo tempo consegnato lei stessa la somma di Euro 3.000 in prestito, nonchè nella disdetta del contratto di locazione inviata dal ricorrente nel luglio del 2007, circostanza per la quale non poteva escludersi che l’altro cittadino straniero avesse promesso all'imputato di aiutarlo nelle spese del contratto di locazione.

Viceversa, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Mantova censurava l'omesso vaglio critico della tesi sostenuta dal ricorrente, caratterizzata da vistose contraddizioni e incompatibilità logiche, e la "scarsa" credibilità, sul piano sia soggettivo sia oggettivo, della testimonianza della moglie dell'imputato, essendo stato comunque accertato, anche volendo prescindere dalla carenza di tracce documentali circa l'asserito prestito, che l'ulteriore somma erogata dalla persona offesa, non importa se destinata a soddisfare esigenze economiche connesse al contratto di locazione della nuova casa in cui intendeva trasferirsi l'imputato, integrava di per sè sola un profitto ingiusto determinato dalla condotta ricattatoria del medesimo.

All'esito del giudizio di secondo grado, svoltosi senza lo svolgimento di alcuna ulteriore attività istruttoria, la Corte territoriale, in accoglimento della impugnazione, ha ritenuto raggiunta la prova della colpevolezza dell'imputato, ravvisando l'insussistenza di motivi in grado di inficiare l'attendibilità oggettiva e soggettiva della persona offesa. Il giudice di seconde cure ha reputato credibile la persona offesa anche perchè corroborata da importanti riscontri documentali, a differenza della versione resa dall'imputato, valutata come inverosimile.

A questo punto, il ricorrente proponeva ricorso per cassazione per l'annullamento della sentenza impugnata sulla base dei seguenti motivi: Vizio di motivazione in relazione alla valutazione di attendibilità della presunta persona offesa, stante il ribaltamento ingiustificato operato dalla Corte di appello sul punto delle valutazioni, perfettamente logiche ed esaurienti, svolte dal Tribunale circa l'assertività e le contraddizioni che caratterizzavano le dichiarazioni della persona offesa; violazione di legge e vizio di motivazione in punto di valutazione di inverosimiglianza della narrazione dell'imputato, che, invece, aveva del tutto logicamente riferito sia della ricezione della somma di Euro 3.000 a titolo di rimborso del prestito da lui precedentemente effettuato sia della somma di Euro 1.500 da lui poi chiesta al medesimo quale contributo per l'affitto di una casa più spaziosa nella quale ospitare l’altro straniero, nel quadro dei principi solidaristici che caratterizzano i rapporti degli appartenenti alla comunità indiana all'estero; illegittima valutazione di inattendibilità della testimonianza della moglie di esso imputato, che aveva trovato conferma nei documenti prodotti dalla difesa attestanti i rapporti amichevoli tra le due famiglie; inconciliabilità con l'accusa di condotta estorsiva della ricezione di somma portata da un assegno bancario, elemento documentale di agevole tracciabilità; vizio di motivazione in punto di valutazione di inattendibilità della tesi difensiva circa la causale delle ulteriori somme di denaro chieste dal ricorrente con riferimento all'affitto della nuova casa in cui ospitare l’altro cittadino straniero; illogica valorizzazione in senso accusatorio del tempo trascorso per la formalizzazione del contratto di assunzione del nipote dello S. dopo il suo arrivo in Italia.

La causa veniva assegnata alla Seconda Sezione penale la quale, con ordinanza in data 26 novembre 2015, depositata il 20 gennaio 2016, ha rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite.

L’ordinanza di rimessione rileva che la valutazione operata dalla Corte di appello non aveva specificamente dedotto la violazione dei parametri di legalità delineati dalla Convenzione Europea dei diritti umani: l'ordinanza dà conto della giurisprudenza della Corte EDU che reputa iniqua la riforma della sentenza assolutoria di primo grado fondata su una diversa valutazione, esclusivamente cartolare, dell'attendibilità di una testimonianza decisiva qualora, nella fase processuale conclusasi con l'assoluzione, la stessa prova, formatasi nel contraddittorio, sia stata ritenuta non attendibile.

L'ordinanza della Seconda Sezione Penale passa poi in rassegna la giurisprudenza di legittimità sul tema, sottolineando come vi sia stata una rapida conformazione dello statuto della prova dichiarativa nel giudizio di secondo grado all'orientamento costante della Corte EDU. In particolare, secondo l'indirizzo che il Collegio ritiene di condividere, il rispetto dell'art. 6 C.E.D.U., così come interpretato dalla Corte di Strasburgo, implica, in casi come quello di specie, la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, una volta che sia prospettata dal soggetto che impugna la decisione assolutoria la possibilità di un diverso apprezzamento dell'attendibilità di una testimonianza decisiva assunta in primo grado; fermo restando che tale esigenza non sussiste, invece, nel caso in cui il giudice di secondo grado fondi il proprio convincimento su altri elementi di prova, in relazione ai quali la valutazione del primo giudice sia mancata o risulti travisata.
La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite Penale, sciogliendo ogni riserva interpretativa in merito, anzitutto,  rileva l'esistenza di due orientamenti contrastanti.
Secondo un primo orientamento, che si è espressa in senso negativo, presupposto per rilevare la violazione dell'art. 6 C.E.D.U. è che l'imputato abbia esperito il ricorso a tutti i rimedi offerti dall'ordinamento processuale; situazione che non ricorre quando non vi sia stata richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale e quando non sia stata impugnata la decisione di appello per mancato rispetto del parametro convenzionale, riconducibile a una violazione di legge da far valere ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), (Sez. 1, n. 26860 del 09/06/2015, Bagarella, Rv. 263961; Sez. 5, n. 51396 del 20/11/2013, Basile, Rv. 257831; Sez. 4, n. 18432 del 19/11/2013, dep. 2014, Spada, Rv. 261920).

Secondo il contrario orientamento, la violazione in questione è rilevabile d'ufficio ex art. 609 c.p.p., comma 2, dato che il presupposto del previo esaurimento dei rimedi interni va applicato senza eccessivo formalismo, essendo sufficiente che la parte abbia impugnato la decisione ad essa sfavorevole, e dovendosi considerare che le norme della C.E.D.U. hanno natura sovralegislativa, seppure sub-costituzionale, tanto che il condannato potrebbe comunque ricorrere alla Corte EDU facendo valere la violazione dell'art. 6; dal che discenderebbe un dovere del giudice nazionale di ricondurre il processo alla legalità convenzionale pur in mancanza di una specifica deduzione di parte (Sez. 1, n. 24384 del 03/03/2015, Mandarino, Rv. 263896; Sez. 3, n. 19322 del 20/01/2015, Ruggeri, Rv. 263513; Sez. 3, n. 11648 del 12/11/2014, dep. 2015, P., Rv. 262978; Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014, dep. 2015, Di Vincenzo, Rv. 261555; cui adde, non menzionata dall'ordinanza, Sez. 5, n. 25475 del 24/02/2015, Prestanicola, Rv. 263902).
Tuttavia, le Sezioni Unite che nè l'uno nè l'altro dei due orientamenti sia condivisibile.
Le Sezioni Unite Penali richiamandosi alla Corte costituzionale, Sentenze c.d. "gemelle" nn. 348 e 349 del 2007, e che il primo dovere dell'interprete è di verificare se è effettivamente riscontrabile un contrasto tra norme interne delle quali debba farsi applicazione nel caso concreto e norme CEDU, o se, invece, la disciplina nazionale sia in linea, anche attraverso una interpretazione adeguatrice, con quella convenzionale.

In quest'ultima ipotesi non può evidentemente sorgere alcun problema dall'applicazione della norma interna, mentre, nel caso di accertato insanabile contrasto, tale norma è soggetta al sindacato di costituzionalità ex art. 117 Costituzione:  il vincolo per il giudice nazionale sussiste solamente in caso di orientamento convenzionale "consolidato" ovvero a una decisione "pilota" in senso stretto.
Trattandosi di un indirizzo consolidato, esso può dirsi vincolante anche per il nostro ordinamento, all’interno del quale, peraltro, si rinviene perfetta consonanza con la giurisprudenza interna. Viene precisato che il ribaltamento in senso assolutorio del giudizio di condanna operato dal giudice di appello, pur senza rinnovazione della istruzione dibattimentale, è perfettamente in linea con la presunzione di innocenza, mentre discorso diverso va fatto nell'ipotesi inversa.
Sostanzialmente il punto centrale delle Sezioni Unite Penali è l’equiparazione del giudice di appello a quello di primo grado. Il giudice di seconde cure non ha di per sé, in base alla sua costituzione e all'ordinamento giudiziario, una "autorevolezza maggiore" di quello di primo grado e può vedersi attribuita la legittimazione a ribaltare un esito assolutorio, sulla base di un diverso apprezzamento delle fonti dichiarative direttamente assunte dal primo giudice, solo a patto che nel giudizio di appello si ripercorrano le medesime cadenze di acquisizione in forma orale delle prove elaborate in primo grado.
Le Sezioni Unite Penali si sono soffermati sui alcuni principi essenziali che regolano il processo penale: dovere di motivazione rafforzata da parte del giudice della impugnazione in caso di dissenso rispetto alla decisione di primo grado, canone "al di là di ogni ragionevole dubbio", dovere di rinnovazione della istruzione dibattimentale, limiti alla reformatio in pejus, che devono necessariamente saldarsi in un medesimo asse cognitivo e decisionale.
Pertanto, alla luce del suddetto ragionamento logico-giuridico, la Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, ha enunciato i seguenti principi di diritto:
  1. "I principi contenuti nella Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, come viventi nella giurisprudenza consolidata della Corte EDU, pur non traducendosi in norme di diretta applicabilità nell'ordinamento nazionale, costituiscono criteri di interpretazione ("convenzionalmente orientata") ai quali il giudice nazionale è tenuto a ispirarsi nell'applicazione delle norme interne".
  2. "La previsione contenuta nell'art. 6, par. 3, lett. d), della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, relativa al diritto dell'imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico, come definito dalla giurisprudenza consolidata della Corte EDU, la quale costituisce parametro interpretativo delle norme processuali interne, implica che, nel caso di appello del pubblico ministero avverso una sentenza assolutoria, fondata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, il giudice di appello non può riformare la sentenza impugnata nel senso dell'affermazione della responsabilità penale dell'imputato, senza avere proceduto, anche d'ufficio, a norma dell'art. 603 c.p.p., comma 3, a rinnovare l'istruzione dibattimentale attraverso l'esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni sui fatti del processo ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado".
  3. "L'affermazione di responsabilità dell'imputato pronunciata dal giudice di appello su impugnazione del pubblico ministero, in riforma di una sentenza assolutoria fondata sulla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, delle quali non sia stata disposta la rinnovazione a norma dell'art. 603 c.p.p., comma 3, integra di per sè un vizio di motivazione della sentenza di appello, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), per mancato rispetto del canone di giudizio "al di là di ogni ragionevole dubbio" di cui all'art. 533 c.p.p., comma 1. In tal caso, al di fuori dei casi di inammissibilità del ricorso, qualora il ricorrente abbia impugnato la sentenza di appello censurando la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla valutazione di prove dichiarative ritenute decisive, pur senza fare specifico riferimento al principio contenuto nell'art. 6, par. 3, lett. d), della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, la Corte di cassazione deve annullare con rinvio la sentenza impugnata".

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