domenica 28 agosto 2016

Minaccia a pubblico ufficiale: reato insussistente in caso di pronuncia di frasi generiche e reattive dettate dalla percezione di vessazione

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La Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, con sentenza n. 27955 del 6 Luglio 2016, ha stabilito che non sussiste il reato di minaccia a pubblico ufficiale in caso di pronuncia di frasi generiche e reattive dettate dalla percezione di vessazione.







Il fatto 
Nel Novembre 2011 i Carabinieri di Capizzi, in provincia di Messina, nel mentre effettuavano un posto di blocco, procedevano al fermo di un'autovettura ed elevavano contravvenzione nei confronti del proprietario per la mancata esibizione della carta di circolazione.
I militari operanti invitavano il proprietario a presentarsi in caserma ed esibire suddetta documentazione.
Alcuni giorni dopo, il proprietario della vettura, si presentava in caserma per l'adempimento dell'obbligo prescritto e dagli accertamenti emergeva che il veicolo era privo della revisione.
Ne conseguiva un alterco tra le parti nel corso del quale il proprietario della vettura invitava i carabinieri a sbrigarsi ed intimava gli stessi a non fargli la multa.
Volavano parole grosse tra le parti ed il proprietario proferiva una frase minacciosa all'indirizzo militari operanti: "se mi fate il verbale, poi vediamo".
Il tutto avveniva sotto l'occhio vigile della telecamera del suo telefonino.

La sentenza di primo grado
Il Tribunale di Nicosia, ritenendo non seria la  minaccia, emetteva sentenza di assoluzione.

La sentenza di secondo grado 
La Corte  di Appello di Caltanissetta condannava il soggetto per il reato di minaccia a pubblico ufficiale, in esso assorbito il reato di oltraggio a pubblico ufficiale cui pure si era reso responsabile il soggetto, e , previo riconoscimento delle attenuanti generiche e la riduzione per il rito abbreviato prescelto, lo condannava alla pena di mesi due e giorni venti di reclusione.

Il ricorso per cassazione 
Avverso la sentenza di condanna del giudice di seconde cure il proprietario proponeva ricorso per cassazione. Richiamandosi all'annullamento del verbale di contestazione che, nel frattempo, aveva ottenuto in altra sede, il proprietario era convinto dell'illegittimità dell'operato dei Carabinieri.
In ordine al reato di oltraggio, riteneva che la frase proferita era da considerare solamente inelegante e volgare, espressa in ragione del disappunto maturato in seguito al ritardo nel recarsi al lavoro per effetto delle operazioni.
Pertanto, il ricorrente, rivendicava la mancanza dell'elemento oggettivo per la sussistenza del reato di minaccia a pubblico ufficiale.

La pronuncia della Cassazione 
I giudici della Suprema Corte hanno emesso sentenza di annullamento degli atti perchè il fatto non sussiste. Hanno spiegato che non costituiva minaccia idonea a coartare la volontà dei militari operanti la pronuncia della frase "se mi fate il verbale, poi vediamo".
Per quanto riguarda il reato di oltraggio, invece, hanno ritenuto che ai fini della sussistenza di tale reato, escludendo i militari, è necessaria la presenza di più persone.


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Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, sentenza n. 27955 del 6 Luglio 2016 >> versione pdf 

SENTENZA sul ricorso proposto da D'Amico Paolo, nato a Nicosia il 10/03/1984 avverso la sentenza del 05/06/2014 della Corte di appello di Caltanissetta visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Anna Criscuolo; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Felicetta Marinelli, che ha concluso per l'annullamento con rinvio. RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 5 giugno 2014 la Corte d'Appello di Caltanissetta, in parziale riforma della sentenza di assoluzione, emessa all'esito di giudizio abbreviato il 29 novembre 2012 dal Tribunale di Nicosia nei confronti di D'Amico Paolo, lo ha riconosciuto colpevole del reato di minaccia a pubblico ufficiale, in esso assorbito il reato di oltraggio a pubblico ufficiale, e, previo riconoscimento di attenuanti generiche e la riduzione per il rito, lo ha condannato alla pena di mesi due e giorni venti di reclusione con i doppi benefici. In sede di merito è stato accertato che, a seguito di un controllo su strada, i carabinieri di Capizzi in data 27 novembre 2011 avevano elevato una contravvenzione al conducente dell'autovettura di proprietà di D'Amico Paolo, che, presentatosi in caserma alcuni giorni dopo per esibire la carta di circolazione, risultava non aver sottoposto il veicolo a revisione. Il D'Amico aveva allora preso il telefono ed intimato al carabiniere Garofalo di stare attento perché lo stava filmando e di non fargli il verbale, altrimenti lo avrebbe denunciato. Poiché il militare redigeva ugualmente il verbale, il D'Amico aveva detto al Garofalo ed al collega Morrone presente di sbrigarsi, in quanto doveva aprire il negozio e non poteva aspettare i loro porci comodi. Il giudice di primo grado aveva assolto il D'Amico per insussistenza del fatto, ritenendo non seria la minaccia, la denuncia prospettata un rimedio legittimamente esperibile per far valere la supposta lesione di un diritto e l'insussistenza del reato di oltraggio, in quanto la frase non era stata pronunciata in luogo pubblico o aperto al pubblico. Accogliendo l'appello del P.m., i giudici di secondo grado hanno ritenuto ravvisabile nella condotta dell'imputato entrambi i reati, atteso che, stante l'incontestabilità della violazione, la minaccia di sporgere denuncia non era correlata ad alcun abuso dei pubblici ufficiali, ma solo strumentale ad indurre i militari a non compiere un atto di ufficio, e, stante il carattere ingiurioso delle espressioni pronunciate dall'imputato nei confronti dei militari all'interno della caserma, luogo aperto al pubblico, era sussistente l'oltraggio, da ritenersi assorbito nel reato di cui all'art. 336 cod. pen. 2. Avverso la sentenza ricorre il difensore dell'imputato, che ne chiede l'annullamento per i seguenti motivi: 2.1 mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al reato di minaccia a pubblico ufficiale: la Corte ha ritenuto sussistente il reato in palese contrasto con la prova documentale prodotta nel giudizio di primo grado relativa alla dichiarata illegittimità delle sanzioni amministrative irrogate dai CC di Capizzi, risultante da due sentenze emesse dal giudice di pace di Nicosia il 20/27 febbraio 2012, del tutto ignorata dalla Corte di appello. Pertanto, il D'Amico era già convinto dell'illegittimità dell'operato dei militari, tant'è che propose opposizione ed ottenne ragione con annullamento del verbale di contestazione e ciò dimostra l'oggettiva illegittimità dell'atto amministrativo, che anche se solo putativa, si riflette sul dolo del reato; 2.2 mancanza della motivazione in ordine al reato di oltraggio: la motivazione è apparente in ordine alla sussistenza dell'offesa all'onore e al decoro dei p.u., trattandosi piuttosto di frase inelegante e volgare, espressiva di mero disappunto per la fretta di recarsi al lavoro; 2 2.3 inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 336 cod. pen. e mancanza dell'elemento oggettivo del reato: erroneamente è stata applicata la norma in mancanza dell'elemento essenziale della minaccia ovvero l'ingiustizia del danno e la Corte non ha motivato le ragioni per le quali la denuncia prospettata dall'imputato dovesse ritenersi una minaccia, tenuto conto della convinzione del D'Amico della natura illegittima dell'atto del p.u.; tenuto conto, peraltro, che il D'Amico non è un giurista, l'espressione andava intesa come ricorso all'autorità giudiziaria e non come denuncia penale; 2.4 inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 336 cod. pen. per mancanza dell'elemento oggettivo della serietà della minaccia: nel caso di specie mancava l'idoneità della minaccia a limitare o coartare la libertà morale del p.u.; 2.5 inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 336 cod. pen. per mancanza dell'elemento soggettivo: la mera convinzione della illegittimità dell'atto compiuto dal p.u. esclude il dolo, a maggior ragione, stante l'accertata illegittimità, come nel caso di specie; 2.6 inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 336 e 51 cod. pen. : il prospettato esercizio di un diritto non può configurare la minaccia di male ingiusto e nel caso di specie l'esito del contenzioso ha dato ragione all'imputato; in ogni caso, il convincimento, ancorché in ipotesi erroneo dell'imputato circa l'illegittimità dell'atto, scrimina la condotta; 2.7 inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 341 bis cod. pen. per mancanza dell'elemento materiale del reato: manca l'elemento essenziale, costituito dalla presenza di più persone, essendo emerso che, come ritenuto dal primo giudice, nessun altro era presente oltre ai due pubblici ufficiali oltraggiati; 2.8 inosservanza ed erronea applicazione dell'art.341 bis cod. pen. per mancanza dell'altro elemento materiale del reato ovvero il luogo pubblico o aperto al pubblico, non potendosi ritenere tale la caserma, come esattamente ritenuto dal primo giudice. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il ricorso è fondato. Sebbene il ricorrente fornisca una lettura dell'episodio alla luce di un elemento sopravvenuto, successivo al fatto, ovvero sulla scorta della decisione favorevole ottenuta due mesi dopo in sede giudiziaria con annullamento della sanzione amministrativa irrogatagli in base alla contravvenzione elevata dai carabinieri, le modalità del fatto non consentono di ritenere integrato il reato di minaccia a pubblico ufficiale. Ed invero, tenuto conto del contesto e della reazione dell'imputato, contrariato dal vedersi contestare un'ulteriore violazione, anziché annullare la 3 precedente contestazione, la minaccia di riprendere con il telefonino quanto stava accadendo e di sporgere denuncia deve ritenersi in concreto inidonea a coartare il pubblico ufficiale per assenza di potenzialità costrittiva di una minaccia generica, reattiva e dettata dalla percezione dell'imputato di sentirsi vessato dai militari. Si è, infatti, ritenuto che non integra il delitto di cui all'art. 336 cod. pen. la reazione genericamente minatoria del privato, mera espressione di sentimenti ostili, non accompagnati dalla specifica prospettazione di un danno ingiusto, che sia sufficientemente concreta da risultare idonea a turbare il pubblico ufficiale nell'assolvimento dei suoi compiti istituzionali (Sez. 6, n. 20320 del 07/05/2015, Rv. 263398: nella specie, questa Corte ha ritenuto non integrare l'elemento materiale del reato l'utilizzo dell'espressione "se mi fai la contravvenzione giuro che te la faccio pagare, chiamo il mio avvocato e ti querelo"). Nella stessa linea si collocano altre decisioni nelle quali si è stabilito che la prospettazione di denunciare taluno all'autorità giudiziaria non costituisce, di per sé, né minaccia né oltraggio, e tanto meno diventa di contenuto oltraggioso quando ad essa si accompagna la specificazione dell'oggetto della denuncia esternata senza arroganza, ma rimanendo nei limiti della protesta espressa in termini civili, anche se risentiti (Sez. 6, n. 4826 del 16/03/1998, Episcopo A, Rv. 211058); ed ancora, ai fini della configurabilità del reato di violenza o minaccia a pubblico ufficiale, non costituisce minaccia idonea a coartare la volontà di quest'ultimo la pronuncia della frase "se mi fate il verbale, poi vediamo", proferita all'indirizzo di agenti di polizia dal conducente di motoveicolo, rifiutatosi di esibire i documenti che ne comprovassero la proprietà (Sez. 6, n. 18282 del 27/02/2007 Sorgente, Rv. 236446). 2. Quanto al reato di oltraggio, va evidenziato che, pur essendo la caserma luogo aperto al pubblico, perché ad essa hanno possibilità di accesso i cittadini per denunce e richieste, fondata è la censura in ordine all'insussistenza del reato per la mancanza di un elemento costitutivo ovvero la presenza di più persone, non potendo comprendersi in tale nozione la presenza dell'altro militare, in tesi d'accusa, anch'egli destinatario dell'offesa. Per le ragioni esposte la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. Così deciso, il 16/06/2016.

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Art. 336 c.p. - Giurisprudenza 

Cassazione Sentenza n. 23684/2015
Quando il comportamento aggressivo nei confronti del pubblico ufficiale non sia diretto a costringere il soggetto a fare un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dell'ufficio, ma sia solo espressione di volgarità ingiuriosa e di atteggiamento genericamente minaccioso, senza alcuna finalizzazione ad incidere sull'attività dell'ufficio o del servizio, la condotta non integra il delitto di cui all'art. 337 c.p., ma i reati di ingiuria e di minaccia, aggravati dalla qualità delle persone offese, per la cui procedibilità è necessaria la querela. (In applicazione del principio, la S.C. ha escluso la configurabilità del reato di resistenza nelle frasi offensive e minacciose rivolte da una detenuta nei confronti di un'agente di Polizia penitenziaria che, all'esito di una perquisizione espletata senza alcuna opposizione od ostacolo, le aveva contestato il possesso di un numero di lenzuola superiore al consentito).

Cassazione Sentenza n. 20320/2015
Non integra il delitto di cui all'art. 336 c.p. la reazione genericamente minatoria del privato, mera espressione di sentimenti ostili non accompagnati dalla specifica prospettazione di un danno ingiusto, che sia sufficientemente concreta da risultare idonea a turbare il pubblico ufficiale nell'assolvimento dei suoi compiti istituzionali. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto non integrare l'elemento materiale del reato l'utilizzo dell'espressione "se mi fai la contravvenzione giuro che te la faccio pagare, chiamo il mio avvocato e ti querelo").


Cassazione Sentenza n. 7992/2015
In tema di rapporti tra le fattispecie previste dagli artt. 336 e 337 cod. pen., quando la violenza o la minaccia dell'agente nei confronti del pubblico ufficiale è posta in essere durante il compimento dell'atto d'ufficio, per impedirlo, si ha resistenza ai sensi dell'art. 337 cod. pen., mentre si versa nell'ipotesi di cui all'art. 336 cod. pen. se la violenza o la minaccia è portata contro il pubblico ufficiale per costringerlo ad omettere un atto del suo ufficio anteriormente all'inizio di esecuzione. (In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione di condanna ai sensi degli artt. 81 e 336 cod. pen., con riferimento a condotta consistita nella reiterata pronuncia di frasi intimidatorie nei confronti del comandante dei vigili urbani e poi di altri operanti inviati da quest'ultimo, da parte di soggetto che era stato sorpreso a vendere abusivamente prodotti ittici in strada ed era stato invitato a cessare tale attività, documentata attraverso videoriprese).

Cassazione Sentenza n. 32705/2014
Ai fini della consumazione del reato di cui all'art. 336 c.p., l'idoneità della minaccia posta in essere per costringere il pubblico ufficiale a compiere un atto contrario ai propri doveri deve essere valutata con un giudizio "ex ante", tenendo conto delle circostanze oggettive e soggettive del fatto, con la conseguenza che l'impossibilità di realizzare il male minacciato, a meno che non tolga al fatto qualsiasi parvenza di serietà, non esclude il reato, dovendo riferirsi alla potenzialità costrittiva del male ingiusto prospettato. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto penalmente rilevanti frasi intimidatorie pronunciate in stato di ebbrezza e riferite alla prospettazione di un male futuro benchè temporalmente collegato ad un momento in cui l'effetto dell'alcool sarebbe cessato).


Cassazione Sentenza n. 30175/2013
L'assessore di un ente territoriale riveste la qualifica di pubblico ufficiale relativamente all'esercizio di attività amministrative alle quali partecipa concorrendo alla formazione della volontà dell'ente. (In applicazione del principio, la Corte ha confermato la condanna per il reato di cui all'art. 336 c.p. nei confronti di imputato che aveva minacciato l'assessore di un comune al fine di ottenere il rilascio di permesso a costruire e l'approvazione di convenzione edilizia a lui vantaggiosa).

Cassazione Sentenza n. 13374/2013
Integra il delitto di ingiuria e non quelli previsti dagli artt. 336 o 337 c.p. il profferire all'indirizzo di agenti di polizia intenti a compiere il proprio dovere una frase dall'apparente contenuto minaccioso di un male non concretamente realizzabile ma tale da integrare offesa ai destinatari mediante manifestazione di disprezzo.


Cassazione Sentenza n. 5300/2011
In tema di violenza o minaccia a pubblico ufficiale, l'effettivo esercizio di un'azione civile, mediante la notificazione di un atto di citazione o il deposito di un ricorso, non integra gli estremi della violenza o minaccia penalmente rilevante, quand'anche risulti motivato da ragioni strumentali rispetto al diritto vantato, dovendosi distinguere la concreta attivazione del sistema giudiziario attraverso la formulazione di una domanda proposta dinanzi all'autorità giudiziaria, dalla prospettazione di un'azione, civile o penale, con lo scopo di coartare l'altrui volontà ed ottenere un beneficio od un vantaggio non conformi a giustizia. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha escluso il reato di cui all'art. 336 c.p. nella presentazione di un atto di citazione in cui si ipotizzava una responsabilità professionale a carico di un consulente tecnico del P.M., in modo da determinare una situazione di apparente incompatibilità e condizionarne la testimonianza in dibattimento).

Cassazione Sentenza n. 22453/2009
Non integrano il delitto di resistenza a pubblico ufficiale le espressioni di minaccia rivolte nei suoi confronti, quando le stesse non rivelino alcuna volontà di opporsi allo svolgimento dell'atto d'ufficio, ma rappresentino piuttosto una forma di contestazione della pregressa attività svolta dal pubblico ufficiale, da inquadrare nell'ambito della diversa ipotesi delittuosa di cui all'art. 612, comma secondo, c.p. (Fattispecie in cui un detenuto, reagendo ad un rimprovero rivoltogli da una guardia penitenziaria, inveiva nei suoi confronti minacciandola di "spaccarle la testa").

Cassazione Sentenza n. 7482/2008
Ai fini dell'integrazione del delitto di minaccia a pubblico ufficiale di cui all'art. 336 c.p., non è necessaria una minaccia diretta o personale, essendo invece sufficiente l'uso di qualsiasi coazione, anche morale, ovvero una minaccia anche indiretta, purché sussista la idoneità a coartare la libertà di azione del pubblico ufficiale. (Nel caso di specie, la S.C. ha escluso gli estremi della minaccia indiretta ai carabinieri intervenuti su richiesta dell'imputato per far cessare i rumori provenienti da un locale, osservando che la minaccia di farsi giustizia sommaria da sé, con atti inconsulti consistenti nella violenza su cose di terzi, è del tutto generica e inidonea ad incidere sugli atti che i pubblici ufficiali stavano compiendo nell'esercizio delle loro funzioni).

Cassazione Sentenza n. 34880/2007
Ai fini della consumazione del reato di cui all'art. 336 c.p., l'idoneità della minaccia posta in essere per costringere il pubblico ufficiale a compiere un atto contrario ai propri doveri deve essere valutata con un giudizio ex ante tenendo conto delle circostanze oggettive e soggettive del fatto, con la conseguenza che l'impossibilità di realizzare il male minacciato, a meno che non tolga al fatto qualsiasi parvenza di serietà, non esclude il reato, dovendo riferirsi alla potenzialità costrittiva del male ingiusto prospettato. (Nel caso di specie, la Corte ha osservato che la minaccia ben può assumere le connotazioni del riferimento indiretto o semplicemente allusivo, ritenendo idonea a coartare la libertà morale del presidente di un collegio di Corte di assise di appello la minaccia — peraltro aggravata dalla natura e dal movente mafiosi della condotta — posta in essere nell'ambito di un colloquio volto a condizionare — il giorno precedente la camera di consiglio — la formazione del suo libero convincimento attraverso l'assunzione di un atteggiamento decisorio compiacente o comunque non rigoroso nei confronti degli imputati di un grave delitto di omicidio, in quanto esponenti di rilievo di un'associazione criminale di stampo mafioso).

Cassazione Sentenza n. 18282/2007
Ai fini della configurabilità del reato di violenza o minaccia a pubblico ufficiale, non costituisce minaccia idonea a coartare la volontà di quest'ultimo la pronuncia della frase «se mi fate il verbale, poi vediamo» profferita all'indirizzo di agenti di polizia da conducente di motoveicolo rifiutatosi di esibire i documenti che ne comprovassero la proprietà.

Cassazione Sentenza n. 5777/2007
La raccomandazione ad un docente universitario per il superamento degli esami da parte di uno studente, in genere irrilevante sul piano penale, assume la consistenza di una condotta illecita, che può dar luogo alla commissione del reato di cui all'art. 336 c.p., quando è accompagnata da comportamenti che esulano la semplice segnalazione e sfociano nella pressione illecita. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto corretta la configurazione del reato di violenza e minaccia a pubblico ufficiale, nella specie aggravato ai sensi dell'art. 7 L. n. 203 del 1991, nelle raccomandazioni effettuate a docenti universitari da studenti, associati alla malavita locale, in favore di propri colleghi, realizzate con atteggiamenti di controllo dell'adesione alla segnalazione mediante la presenza allo svolgimento degli esami e con modalità tali da far prospettare la minaccia di conseguenze ritorsive ad opera di associazioni criminali operanti nell'ambiente universitario)

Cassazione Sentenza n. 4932/2006
Nel caso di minaccia ad un testimone, sussiste il reato di minaccia per costringere a commettere un reato (art. 611 c.p.) e non il reato di minaccia a un pubblico ufficiale previsto dall'art. 336 c.p. quando non vi sia certezza dell'avvenuta assunzione formale della qualità di testimone in seguito a regolare citazione.

Cassazione Sentenza n. 12188/2005
Quando il comportamento di aggressione all'incolumità fisica del pubblico ufficiale non sia diretta a costringere il soggetto a fare un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dell'ufficio, ma sia solo espressione di volgarità ingiuriosa e di atteggiamento genericamente minaccioso, senza alcuna finalizzazione ad incidere sull'attività dell'ufficio o del servizio, la condotta violenta non integra il delitto di cui all'art. 336 c.p., ma — una volta abrogato il delitto di oltraggio di cui all'art. 341 c.p. — i più generali reati di ingiuria e di minaccia, aggravati dalla qualità delle persone offese, per la cui procedibilità è necessaria la querela.

Cassazione Sentenza n. 7346/2004
Nel delitto di cui all'art. 336 c.p. l'atto contrario ai doveri di ufficio non fa parte dell'elemento oggettivo del reato, ma di quello soggettivo e più precisamente del dolo specifico che attiene alla finalità che l'agente si propone con il suo comportamento. Ne consegue che se l'agente agisce con minaccia e con l'intenzione di attaccare il pubblico ufficiale per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri od omettere un atto dell'ufficio, il delitto è consumato sia che l'attività commissiva o l'omissione cui è finalizzata l'azione dell'agente siano state già realizzate sia che ancora debbano esserlo. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ravvisato il delitto indicato nella minaccia diretta a due agenti della polizia municipale per costringerli ad omettere l'inoltro alla Procura della Repubblica della notitia criminis concernente taluni abusi edilizi, poi risultata già inviata dagli stessi nei giorni precedenti).

Cassazione Sentenza n. 48541/2003
La distinzione tra il delitto di violenza o minaccia a pubblico ufficiale (art. 336 c.p.) e quello di resistenza (art. 337 c.p.) risiede nel finalismo dell'azione violenta o minacciosa, che nel primo caso mira a coartare la volontà del pubblico ufficiale affinchè compia un'azione od una omissione contrarie ai doveri del suo ufficio, mentre nel secondo caso, ferma restando la libertà di determinazione del soggetto passivo, è diretta ad impedire il compimento dell'atto doveroso.

Cassazione Sentenza n. 39090/2003
Il comportamento del pubblico ufficiale che usa minacce per costringere un collega del suo ufficio a mostrargli determinati documenti, configura solo il delitto di minaccia, in quanto la pretesa di prendere visione dei documenti non è un'attività rientrante nei compiti del pubblico ufficiale ed il diverbio ha ad oggetto un dissenso sulle modalità di gestione di determinate pratiche e costituisce solo l'occasione per l'azione minacciosa, non finalizzata a costringere ad omettere un atto dell'ufficio.

Cassazione Sentenza n. 31408/2003
Il vigile urbano che trovandosi ad espletare un controllo sulla regolarità degli scarichi delle acque reflue, prende notizia di violazioni relative all'attività urbanistico-edilizia, ha l'obbligo di prendere notizia del reato in quanto ai sensi dell'art. 4 legge 28 febbraio 1985 n. 47 ha poteri di polizia giudiziaria in tale materia e quindi qualora l'attività gli venga impedita con violenza o minaccia l'autore risponde del delitto di violenza o minaccia a pubblico ufficiale.

Cassazione Sentenza n. 24624/2003
È configurabile il delitto di cui all'art. 336 c.p. — in quanto reato di mera condotta assistita da dolo specifico, ad integrare il quale è sufficiente l'uso di qualsiasi coazione, anche indiretta, purché idonea a comprimere la libertà d'azione del pubblico ufficiale — nel fatto di colui che, per impedire al dipendente dell'esattoria, incaricato del pignoramento conseguente al mancato pagamento di numerosi avvisi di mora, liberi nel giardino della propria abitazione, due grossi cani da presa, rifiutandosi di legarli o allontanarli.

Cassazione Sentenza n. 20287/2001
Integra la condotta del reato di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (art. 336 c.p.) anche il comportamento con il quale l'agente minacci di privarsi della vita per ritorsione a un atto legittimo, quando la minaccia sia idonea a intralciare la pubblica funzione, atteso che il male prospettato nella forma dell'autolesionismo è ingiusto.

Cass. n. 2675/1998
Integra il reato di violenza a pubblico ufficiale di cui all'art. 336, primo comma, c.p., l'azione violenta di alcuni consiglieri comunali diretta ad impedire al sindaco di presiedere la seduta del consiglio comunale.

Cassazione Sentenza n. 95/1998
L'idoneità della violenza o minaccia ad intimidire ed a costringere un pubblico ufficiale deve essere verificata in relazione alla singola fattispecie e l'indagine in concreto deve necessariamente svolgersi nell'ambito delle seguenti coordinate: coefficiente di gravità del male prospettato; apparenza di serietà ed eseguibilità della forma, del tempo, del luogo e delle modalità dell'azione; personalità del soggetto attivo e suoi eventuali precedenti penali; condizioni psicologiche del soggetto passivo. (Fattispecie consistente nella minaccia di un detenuto di autolesionarsi con una lametta qualora non fosse stato fatto uscire dalla sua cella).

Cassazione Sentenza n. 797/1996
Alle guardie giurate compete la qualifica di incaricato di pubblico servizio allorché svolgano attività complementare a quella, loro istituzionalmente affidata, di vigilanza e custodia delle proprietà immobiliari e mobiliari. Ne consegue che la minaccia nei loro confronti integra il reato di cui all'art. 336 c.p. (Fattispecie nella quale due guardie giurate, in servizio di prevenzione di reati contro il patrimonio, avevano sorpreso, nell'immediatezza di un furto di armi comuni da sparo, l'imputato che, per impedir loro di arrestarlo, li aveva minacciati a mano armata).

Cassazione Sentenza n. 314/1995
È giustificata la pena edittale minima di mesi sei di reclusione comminata dall'art. 336 c.p. per la violenza o minaccia a pubblico ufficiale, sia in sé considerata che in rapporto a quella, sensibilmente più lieve, prevista dall'art. 610 c.p. per la violenza privata, in quanto, innanzitutto, in questa seconda ipotesi non si riscontra quell'elemento teleologico, di notevole gravità, consistente nel costringere il soggetto passivo a compiere un atto contrario ai propri doveri d'ufficio o ad omettere un atto di ufficio. A differenza poi della sanzione minima edittale prevista per l'oltraggio a pubblico ufficiale, ritenuta eccessiva dalla sent. n. 341 del 1994 perché costituente un unicum generato dal codice penale del 1930, frutto di una concezione autoritaria e sacrale dei rapporti fra pubblici ufficiali e cittadini tipica di quell'epoca storica, la pena minima per la violenza o minaccia a pubblico ufficiale era già nel c.p. del 1889, all'art. 187, assai più severa delle blande sanzioni previste per l'oltraggio. Nell'ipotesi di accoglimento del petitum del giudice a quo, infine, si assimilerebbe il trattamento sanzionatorio dell'oltraggio a quello della violenza o minaccia, in aperto contrasto con la evidente maggiore lesività della seconda ipotesi delittuosa rispetto alla prima. (Non fondatezza della questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 27, terzo comma, 97 Cost., dell'art. 336 c.p.).

Cassazione Sentenza n. 8008/1993
L'efficacia intimidatrice di una frase, che la fa qualificare, a seconda dei casi, come reato di cui all'art. 336, o all'art. 337 ovvero all'art. 612 c.p., è direttamente proporzionale all'attuabilità del danno, che ne formi oggetto. Di conseguenza, se il male minacciato si presenta ex se, non concretamente realizzabile, non è configurabile alcuna aggressione, penalmente rilevante, alla sfera psichica del soggetto passivo. Se, però, il profferire alcune parole apparentemente minacciose manifesta, e raggiunge, l'intento dell'agente di esprimere il proprio disprezzo per l'interlocutore, esso integra, a seconda dei casi, gli estremi del reato di cui all'art. 341 o di quello di cui all'art. 594 c.p. (Nella specie la Cassazione ha ritenuto che la minaccia dell'imputato di sodomizzare gli agenti operanti non presentasse alcuna oggettiva attitudine ad intimorire, ma costituisse una plateale offesa al loro prestigio e, dunque, integrasse il reato di cui all'art. 341 c.p.).

Cassazione Sentenza n. 7573/1993
In tema di rapporti tra le ipotesi delittuose previste dagli artt. 336 e 337 c.p. allorquando la violenza o la minaccia realizzata dall'agente nei confronti del pubblico ufficiale è usata durante il compimento dell'atto d'ufficio, per impedirlo, si ha resistenza ai sensi dell'art. 337 c.p., mentre si versa nell'ipotesi di cui all'art. 336 c.p. allorquando la violenza o la minaccia è portata contro il pubblico ufficiale per costringerlo ad omettere un atto del suo ufficio anteriormente all'inizio di esecuzione del medesimo.

Cassazione Sentenza n. 2729/1993
In tema di rapporti tra le ipotesi delittuose previste dagli artt. 336 e 337 c.p., mentre la fattispecie tipica della resistenza consiste nella illecita reazione, posta in essere per sottrarsi ad un atto che il pubblico ufficiale sta compiendo, quella del reato di cui all'art. 336 c.p. consiste nel cercare di coartare comunque la volontà del pubblico ufficiale per costringerlo a non compiere un atto del proprio ufficio o servizio, ovvero a non portarlo a termine, se già iniziato. (Fattispecie in cui l'imputato non solo aveva cercato di intimorire dei pubblici ufficiali, aizzando la folla contro di loro, al fine di costringerli a non portare a termine un controllo da loro iniziato, ma aveva altresì usato violenza contro i medesimi, divincolandosi con gomitate e strattoni, per opporsi a tale controllo; la Cassazione ha ritenuto che rettamente il giudice di merito avesse ravvisato in tale comportamento gli estremi di entrambe i reati suddetti ed ha enunciato il principio di cui in massima).

Cassazione Sentenza n. 2305/1993
Ai fini dell'integrazione del delitto di cui all'art. 336 c.p., costituisce minaccia idonea a coartare la volontà del pubblico ufficiale e non semplicemente ad offenderne l'onore ed il prestigio, la frase «se volete la guerra, guerra sia» pronunciata all'indirizzo del pubblico ufficiale. (Nella specie detta frase era stata pronunciata all'indirizzo di un carabiniere che stava procedendo al sequestro di un motoveicolo).

Cassazione Sentenza n. 3316/1988
Il delitto di violenza a pubblico ufficiale non ha come sua obiettività giuridica la tutela della incolumità fisica del pubblico ufficiale, bensì la libertà del medesimo al compimento degli atti del suo ufficio. Integra, pertanto, il delitto de quo qualsiasi comportamento palesemente o intenzionalmente aggressivo, idoneo a generare timore e a limitare la libertà morale del soggetto passivo. (Nella specie è stato ritenuto delitto di cui all'art. 336 c.p. l'aver sparato un colpo di pistola contro un carabiniere in servizio di controllo, senza colpirlo e senza intenzione di colpirlo, colpo valutato come idoneo a far desistere il milite dal compimento di un atto del suo ufficio).

Cassazione Sentenza n. 5414/1986
Il reato di violenza o minaccia a pubblico ufficiale è ravvisabile anche nella ipotesi di minaccia ad un testimone, il quale riveste indubbiamente quella qualifica col solo fatto della sua citazione, non necessariamente dopo la prestazione del giuramento di rito, e la mantiene prima, durante e dopo l'esame, alla presenza o meno del giudice.
Cass. n. 10005/1985
Il delitto, di cui all'art. 336 c.p., è reato di mera condotta assistita da dolo specifico e si consuma indipendentemente dal raggiungimento dello scopo prefissosi dal reo o dalla possibilità, in concreto, da parte del pubblico ufficiale di soddisfare l'intimazione ogni volta che l'atto o il fatto richiesto concerne l'attività amministrativa dell'ente al cui servizio è svolto il lavoro del pubblico ufficiale.

Cassazione Sentenza n. 8244/1983
Il delitto di tentato omicidio e di violenza a pubblico ufficiale concorrono tra loro, essendo evidente la loro diversa oggettività e la diversità dei beni tutelati dalle rispettive norme incriminatrici.

Cassazione Sentenza n. 7097/1981
Nel delitto di violenza o minaccia a pubblico ufficiale, la violenza o la minaccia costitutiva del reato viola un bene giuridico specifico, e cioè l'interesse dello Stato al normale funzionamento e al prestigio della pubblica amministrazione, oltre quello concernente la libertà morale e l'incolumità fisica dell'individuo, ed inoltre, il soggetto passivo di tale reato è essenzialmente un pubblico ufficiale. Il reato di violenza o minaccia a pubblico ufficiale non può ritenersi assorbito in funzione di aggravante nella complessa figura del delitto di evasione aggravato dall'aver commesso il fatto usando violenza o minaccia verso le persone, giacché la violenza e la minaccia considerate in detta ipotesi di evasione aggravata rispondono alle previsioni generiche dei reati di percosse e minacce e non pure alle previsioni specifiche contemplate da altre disposizioni di legge che si differenziano per la finalità cui è diretta la condotta del violento o dell'intimidatore. *

Cassazione Sentenza n. 1049/1972

Per la sussistenza del reato di cui all'art. 336 c.p. è necessaria la coscienza e la volontà di usare la violenza o la minaccia per il fine, propostosi dall'agente, di costringere il pubblico ufficiale a fare un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dell'ufficio o del servizio, fine che indica il dolo specifico che determina l'azione, non essendo necessario che la violenza consegua l'effetto di impedire in modo definitivo l'esplicazione della pubblica funzione o del servizio in relazione a un oggetto determinato.


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