venerdì 9 settembre 2016

Donazione cosa altrui: approfondimento a cura del Prof. Edoardo Ferrante










Donazione cosa altrui: approfondimento a cura del Prof. Edoardo Ferrante dell'Università di Torino

La Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con sentenza n. 5068 del 15 Marzo 2016, ha stabilito che la donazione di un bene altrui, benché non espressamente vietata dalla legge italiana, deve ritenersi nulla per difetto di causa salvo che nell’atto si affermi espressamente che il donante sia consapevole dell’attuale non appartenenza del bene al suo patrimonio. Nel caso di specie, trattandosi di donazione di quota ereditaria compresa in una massa ereditaria, il negozio è nullo, non potendosi, prima della divisione, ritenere che il singolo bene faccia parte del patrimonio del coerede donante.

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Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con sentenza n. 5068 del 15 Marzo 2016 >> versione pdf  

SENTENZA sul ricorso proposto da: COMI Nicola, COMI Emilia e COMI Cesare, in proprio e quali eredi di Ca- ma Luisa ved. Corni, rappresentati e difesi, per procura speciale a margi- ne del ricorso, dall'Avvocato Antonino Pellicanò, presso lo studio del quale in Roma, piazzale delle Belle Arti n. 8, sono elettivamente domiciliati; - ricorrenti - contro MONTESANO Emilia in Panuccio, rappresentata e difesa, per procura spe- ciale a margine del controricorso, dagli Avvocati Alberto Panuccio e Giu- seppe Panuccio, presso lo studio dei quali in Roma, via Sistina n. 121, è elettivamente domiciliata; - controricorrente - e contro SCAPPATURA Angelina, SCAPPATURA Emilia e SCAPPATURA Vincenza, rappresentate e difese, per procura speciale in calce al controricorso, dall'Avvocato Filippo Zuccarello, elettivamente domiciliate presso Io stu- dio dell'Avvocato Elisa Neri in Roma, via dei Gracchi n. 130; - conti-or/corrente - contro MONTESANO Paolo Francesco Maria, MONTESANO Alessandro Salvatore Maria e MONTESANO Giovanna Rosa Maria, SCAPPATURA Vincenzo, Cura- tela dei Fallimenti di Montesano Nicola e di Zaccaria Maria Rosaria, ZAC- CARIA Maria Rosaria, MONTESANO Chiara e MONTESANO Luca, gli ultimi tre in qualità di eredi di Montesano Nicola; - intimati - nonché nei confronti di BRANCA Gaia Cosima Fortunata, quale erede di Emilia Scappatura, rap- presentata e difesa, per procura a margine della memoria di costituzione, dall'Avvocato Giuseppe Morabito, elettivamente domiciliata in Roma, via G. Donati n. 32, presso lo studio dell'Avvocato Roberto Marino; - resistente - avverso la sentenza della Corte d'appello di Reggio Calabria n. 232 depo- sitata il 23 novembre 2006; udita la relazione della causa svolta nell'udienza pubblica del 10 marzo 2015 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti; sentiti gli Avvocati Antonino Pellicanò, per parte ricorrente, e Giuseppe Panuccio, anche per delega, per parte resistente; sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Genera- le Dott. Umberto APICE, che ha concluso per li rigetto del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Emilia Montesano adiva il Tribunale di Reggio Calabria con citazione del gennaio 1989 chiedendo che venisse: a) dichiarata aperta la successione di Corni Pietro, da devolversi secondo le norme della successione legitti- ma per 1/4 in favore del fratello Carni Francesco, per 1/4 in favore di Corni Nicola, Comi Emilia e Corni Cesare (in rappresentazione di Comi Giuseppe, fratello di Corni Pietro), per 1/4 in favore della sorella Corni Vincenza e per 1/4 in favore dei figli e dei discendenti dell'altra sorella Corni Giovanna; b) dichiarata aperta, altresì, la successione di Carni Fran- cesco, da devolversi secondo le norme della successione legittima per 1/3 in favore dei figli del fratello Corni Giuseppe, per 1/3 in favore dei figli della sorella premorta Corni Vincenza (a lei subentrati per rappresenta- zione) e per 1/3 in favore dei figli e dei discendenti della sorella premorta Corni Giovanna (a lei subentrati per rappresentazione); 3) disposta la formazione delle masse ereditarie comprendendo in esse tutti i beni relitti - 2 - risultanti dalle dichiarazioni di successione; 4) disposta la divisione dei beni relitti e lo scioglimento della comunione; 5) disposta la divisione per stirpi, attribuendo a ciascuna stirpe beni corrispondenti alle quote di dirit- to di ciascuna; 6) ordinata la formazione del progetto divisionale e gli a- dempimenti consequenziali. Instauratosi il contraddittorio, si costituivano le germane Scappatura An- gelina, Scappatura Emilia e Scappatura Vincenza (aventi causa di Corni Vincenza), le quali aderivano alla domanda di divisione e chiedevano che tra i beni da dividere fossero inclusi anche quelli oggetto della donazione fatta da Corni Francesco al nipote Comi Nicola con atto pubblico del 1987, deducendone la nullità per inesistenza dei beni donati nella sfera giuridica del donante, nonché che venisse ordinato a Corni Nicola di rendere il con- to della gestione degli immobili facenti parte dell'eredità di Pietro e di Corni Francesco. Si costituiva anche Scappatura Vincenzo, che aderiva alla domanda di di- visione, nonché i germani Comi Nicola, Corni Emilia e Comi Cesare, i quali pur non opponendosi alla divisione, chiedevano che dalla eredità venisse- ro detratti i beni oggetto della donazione per atto notaio Miritello del 1987. Nel giudizio si costituivano anche i germani Montesano Paolo Francesco Maria, Montesano Alessandro Salvatore Maria e Montesano Giovanna Ro- sa Maria, figli di Montesano Pasquale, avente causa di Corni Giovanna, aderendo alla domanda principale, nonché Montesano Luca e Zaccaria Maria Rosaria, in qualità di eredi di Montesano Nicola, quest'ultima in proprio e quale esercente la potestà sulla figlia minore Montesano Chiara, che ugualmente facevano proprie le domande dell'attrice. Nei processo interveniva la curatela del fallimenti di Montesano Nicola e Zaccaria Maria Rosaria che, oltre a costituirsi in qualità di eredi di Cama Luisa, Corni Nicola, Corni Emilia e Carni Cesare, ribadiva le richieste già formulate. Con sentenza non definitiva del 30 aprile 2004, il Tribunale adito dichia- rava aperta la successione di Corni Pietro e devoluta secondo le norme della successione legittima la sua eredità, nonché quella di Comi France- sco, parimenti devoluta secondo le norme della successione legittima. 3 Il Tribunale dichiarava, altresì, la nullità dell'atto di donazione per atto notaio Miritello del 1° ottobre1987 e rimetteva la causa sul ruolo con se- parata ordinanza per il prosieguo. Avverso la sentenza non definitiva i germani Corni Nicola, Comi Emilia e Comi Cesare, in proprio e nella qualità di eredi di Cama Luisa, censuran- do II capo della sentenza con cui era stata dichiarata la nullità dell'atto di donazione del 1987. Nella resistenza di Scappatura Emllia, Scappatura Angelina, Scappatura Emilia e Scappatura Vincenza, nonché di Montesano Paolo Francesco Ma- ria, Montesano Alessandro Salvatore Maria e Montesano Giovanna Rosa Maria, contumaci le restanti parti, la Corte di appello di Reggio Calabria rigettava il gravame e per l'effetto confermava integralmente la sentenza impugnata. A sostegno della decisione adottata la Corte distrettuale evidenziava che avendo il defunto Corni Francesco donato al nipote Comi Nicola la nuda proprietà della sua quota (corrispondente ai 5/12 indivisi dell'intero) dei due appartamenti costituenti l'intero secondo piano del fabbricato di vec- chia costruzione a sei piani sito in via Pietro Foti, dalla lettura sistematica degli artt. 769 e 771 cod. civ., doveva ritenersi la nullità dell'atto di do- nazione, potendo costituire oggetto di donazione solo ed esclusivamente i beni facenti parte del patrimonio del donante al momento in cui veniva compiuto l'atto di liberalità, tali non potendosi ritenere quelli di cui il do- nante era comproprietario pro indiviso di una quota ideale. Avverso tale sentenza i Corni hanno proposto ricorso per cassazione, arti- colato su quattro motivi, al quale hanno resistito gli Scappatura e l'origi- naria attrice con separati controricorsi. Con ordinanza interlocutoria n. 11545 del 2011, emessa all'esito dell'udienza del 13 febbraio 2013, la Seconda Sezione di questa Corte, disattese le eccezioni di inammissibilità formulate dai controricorrenti e ritenuto non fondato il primo motivo di ricorso, ha, in relazione al secon- do, al terzo e al quarto motivo di ricorso, rimesso gli atti al Primo Presi- dente della Corte per la eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, ravvisando nella questione oggetto del ricorso una questione di massima di particolare importanza. - 4 - Disposta la trattazione del ricorso presso queste Sezioni Unte, in vista dell'udienza del 10 marzo 2015 i ricorrenti e la controricorrente Emilia Montesano hanno depositato memoria ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Deve preliminarmente essere dichiarata la inammissibilità della costi- tuzione di Branca Gaia Cosirna Fortunata, per difetto di procura speciale, essendo la stesa intervenuta in un giudizio iniziato prima del 4 luglio 2009 (Cass. n. 7241 del 2010; Cass. n. 18323 del 2014), 2. - Come già rilevato, il primo motivo di impugnazione è stato già disat- teso dalla Seconda Sezione. 2.1. - Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti deducono vizio di moti- vazione sul rilievo che, non essendo stato acquisito il fascicolo di primo grado ed avendo la Corte d'appello esaminato l'atto di donazione solo per la parte riportata nell'atto di appello, il convincimento del giudice di ap- pello sarebbe il frutto di una presunzione non vera, essendo il tenore del- la donazione molto più esteso rispetto ai brani esaminati in sede di gra- vame. Prosegue parte ricorrente che la lettura integrale dell'atto di libera- lità avrebbe consentito di rilevare che l'oggetto della donazione era costi- tuito, in parte, da un diritto proprio di Francesco Corni, e cioè della quota di comproprietà degli immobili di cui Comi Francesco era titolare in modo esclusivo, per avere ciascuno dei fratelli Corni Francesco, Corni Pietro e Corni Giuseppe la piena disponibilità di una quota pari ad 1/3 degli immo- bili di cui al rogito; per altra parte, dalla quota di 1/3 a lui pervenuta dalla eredità del fratello Corni Pietro: circostanza, questa, di cui non vi era al- cun cenno nella sentenza impugnata. La Corte d'appello avrebbe quindi errato nell'accomunare i due cespiti in una indistinta "quota ereditaria". 2.2. - Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 769 e 771 cod. civ., in combinato disposto con l'art. 1103 cod. civ., oltre alla illegittimità della sentenza impugnata per difetto di motivazione ed errata valutazione dei presupposti di fatto, per non avere i giudici di me- rito riconosciuto che Corni Francesco poteva validamente donare al nipote la quota di proprietà di cui era esclusivo titolare con riferimento all'immo- bile di via Foti n. 16, essendo tale bene nella sua piena disponibilità, po- tendo essere le argomentazioni del Tribunale riferite semmai alla residua quota di 1/12 pervenuta al donante per successione ereditaria dal fratello 5 Corni Pietro. A conclusione del motivo i ricorrenti formulano il seguente quesito di diritto: "Dica la Suprema Corte di Cassazione se il divieto di cui all'art. 771 c.c. può essere legittimamente esteso anche ai beni di cui il donante è titolare in comunione ordinaria con i propri fratelli". - Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione ed erronea applicazione degli artt. 771_ e 769 cod. civ., in combinato disposto con gli artt. 1103 e 757 cod. civ., nonché carenza assoluta di motivazione, per avere ritenuto i giudici di merito "beni altrui", fino al momento della divi- sione, anche i beni in comproprietà ordinaria, in aperto contrasto con i principi che regolano l'istituto della comproprietà e dell'art. 1103 cod. civ., che sancisce il principio della piena disponibilità dei beni in compro- prietà nei limiti della quota di titolarità del disponente. Ad avviso dei ri- correnti eguali considerazioni varrebbero anche per la c.d. quota eredita- ria. Quanto alla conclusione del giudice di appello circa l'irrilevanza della qualificazione della fattispecie quale condizione sospensiva, i ricorrenti ri- levano che la divisione dei beni ereditari, seppure avvenga dopo Il deces- so di uno dei coeredi, non cancella i diritti nascenti sui beni ereditari. A conclusione del motivo i ricorrenti formulano il seguente quesito di di- ritto: "Dica la Suprema Corte di Cassazione se l'art. 771 c.c. può essere legittimamente interpretato equiparando a tutti gli effetti la categoria dei "beni futuri" con quella dei "beni altrui". 3. - La Seconda Sezione, con l'ordinanza interlocutoria n. 11545 del 2014 ha innanzi tutto ricordato come, nonostante l'art. 769 cod. civ. abbia as- soggettato la donazione al principio consensualistico, sia risultato preva- lente in giurisprudenza, in via di interpretazione analogica dell'art. 771 cod. civ., la tesi della nullità della donazione di bene altrui, assumendosi il carattere della necessaria immediatezza dell'arricchimento altrui e, dunque, dell'altrettanto necessaria appartenenza del diritto al patrimonio del donante al momento del contratto (sono in proposito richiamate Cass. 23 maggio 2013, n. 12782; Cass. 5 maggio 2009, n. 10356; Cass. 18 di- cembre 1996, n. 1131; Cass. 20 dicembre 1985, n. 6544). La Seconda Sezione ha, per contro, ricordato, da un lato, le critiche di parte della dot- trina, fondate sullo stesso testo dell'art. 769 cod. civ., il quale contempla l'arricchimento della parte donataria operato "assumendo verso la stessa un'obbligazione"; e, dall'altro, Cass. 5 febbraio 2001, n. 1596, che ha 6 considerato la donazione di cosa altrui non nulla, ma semplicemente inef- ficace, con conseguente sua idoneità a valere quale titolo per l'usucapio- ne immobiliare abbreviata. La Seconda Sezione ha quindi aggiunto che la soluzione della questione posta è evidentemente correlata alla ratio dell'ad. 771 cod. civ. Nella specie, la questione non riguarderebbe la donazione dei quattro do- dicesimi di cui il donante era titolare inter vivos, dovendosi M parte qua la liberalità intendere come di cosa propria, in quanto relativa alla quota del partecipante in comunione ordinaria, alienata ai sensi e nei limiti dell'ad, 1103 cod. civ.. La questione si porrebbe, piuttosto, quanto all'ul- teriore dodicesimo del bene di provenienza ereditaria, e per il quale il do- nante intendeva trasferire il proprio diritto di coerede, ricadente, tuttavia, sulla quota ex art. 727 cod. civ. e non (ancora) su quel determinato im- mobile compreso nell'asse. 3.1. - In conclusione, la Seconda Sezione ha rimesso all'esame di queste Sezioni Unite la seguente questione: "Se la donazione dispositiva di un bene altrui debba ritenersi nulla alla luce della disciplina complessiva del- la donazione e, in particolare, dell'art. 771 cod civ., poiché il divieto di donazione dei beni futuri ricomprende tutti gli atti perfezionati prima che il loro oggetto entri a comporre Il patrimonio del donante e quindi anche quelli aventi ad oggetto i beni altrui, oppure sia valida ancorché ineffica- ce, e se tale disciplina trovi applicazione, o no, nel caso di donazione di quota di proprietà pro indiviso". 4. - Come riferito, sulla questione se la donazione di cosa altrui sia nulla o no, la giurisprudenza di questa Corte si è reiteratamente espressa, nel senso della nullità. 4.1. - Secondo Cass. n. 3315 del 1979, «la convenzione che contenga una promessa di attribuzione dei propri beni a titolo gratuito configura un contratto preliminare di donazione che è nullo, in quanto con esso si vie- ne a costituire a carico del promittente un vincolo giuridico a donare, il quale si pone in contrasto con il principio secondo cui nella donazione l'arricchimento del beneficiario deve avvenire per spirito di liberalità, in virtù cioè di un atto di autodeterminazione del donante, assolutamente libero nella sua formazione». La successiva Cass. n. 6544 del 1985, ha affermato che la donazione di beni altrui non genera a carico del donante 7 alcun obbligo poiché, giusta la consolidata interpretazione dell'art. 771 cod. civ., dal sancito divieto di donare beni futuri deriva che è invalida anche la donazione nella parte in cui ha per oggetto una cosa altrui; a differenza di quanto avviene, ad esempio, nella vendita di cosa altrui, che obbliga il non dominus alienante a procurare l'acquisto al compratore. Ta- le decisione ha quindi affermato che «ai fini dell'usucapione abbreviata a norma dell'art. 1159 cod. civ. non costituisce titolo astrattamente idoneo al trasferimento la donazione di un bene altrui, attesa l'invalidità a norma dell'art. 771 cod. civ. di tale negozio». Sempre nell'ambito della nullità si colloca Cass. n. 11311 del 1996, così massimata: «l'atto con il quale una pubblica amministrazione, a mezzo di contratto stipulato da un pubblico funzionario, si obblighi a cedere gratui- tamente al demanio dello Stato un'area di sua proprietà, nonché un'altra area che si impegni ad espropriare, costituisce una donazione nulla, sia perché, pur avendo la pubblica amministrazione la capacità di donare, non è ammissibile la figura del contratto preliminare di donazione, sia perché l'atto non può essere stipulato da un funzionario della pubblica amministrazione (possibilità limitata dall'art. 16 del R.D. n. 2440 del 1923 ai soli contratti a titolo oneroso), sia perché l'art. 771 cod. civ. vieta la donazione di beni futuri, ossia dell'area che non rientra nel patrimonio dell'amministrazione "donante" ma che la stessa si impegna ad espropria- re». Particolarmente significativa è poi Cass. n. 10356 del 2009, secondo cui «la donazione dispositiva di un bene altrui, benché non espressamente disciplinata, deve ritenersi nulla alla luce della disciplina complessiva della donazione e, in particolare, dell'art. 771 cod. civ., poiché il divieto di do- nazione dei beni futuri ricomprende tutti gli atti perfezionati prima che il loro oggetto entri a comporre il patrimonio del donante; tale donazione, tuttavia, è idonea ai fini dell'usucapione decennale prevista dall'art. 1159 cod. civ., poiché il requisito, richiesto da questa norma, dell'esistenza di un titolo che legittimi l'acquisto della proprietà o di altro diritto reale di godimento, che sia stato debitamente trascritto, deve essere inteso nel senso che il titolo, tenuto conto della sostanza e della forma del negozio, deve essere suscettibile in astratto, e non in concreto, di determinare il 8 trasferimento del diritto reale, ossia tale che l'acquisto del diritto si sa- rebbe senz'altro verificato se l'alienante ne fosse stato titolare». Da ultimo, Cass. n. 12782 del 2013 si è espressa in senso conforme alla decisione da ultimo richiamata. 4.2. - In senso difforme si rinviene Cass. n. 1596 del 2001, che ha af- fermato il principio per cui «la donazione di beni altrui non può essere ri- compresa nella donazione di beni futuri, nulla ex art. 771 cod. civ., ma è semplicemente inefficace e, tuttavia, idonea ai fini dell'usucapione abbre- viata ex art. 1159 cod. civ., in quanto il requisito, richiesto dalla predetta disposizione codicistica, della esistenza di un titolo che sia idoneo a far acquistare la proprietà o altro diritto reale di godimento, che sia stato de- bitamente trascritto, va inteso nel senso che il titolo, tenuto conto della sostanza e della forma del negozio, deve essere idoneo in astratto, e non in concreto, a determinare il trasferimento del diritto reale, ossia tale che l'acquisto del diritto si sarebbe senz'altro verificato se l'alienante ne fosse stato titolare». 4.3. - A ben vedere, il contrasto tra i due orientamenti giurisprudenziali non coinvolge il profilo della efficacia dell'atto a costituire titolo idoneo per l'usucapione abbreviata, ma, appunto, la ascrivibilità della donazione di cosa altrui nell'area della invalidità, e segnatamente della nullità, ovve- ro in quella della inefficacia. 5. Il Collegio ritiene che alla questione debba essere data risposta nel senso che la donazione di cosa altrui o anche solo parzialmente altrui è nulla, non per applicazione in via analogica della nullità prevista dall'art. 771 cod. civ. per la donazione di beni futuri, ma per mancanza della cau- sa del negozio di donazione. 5.1. - Deve innanzi tutto rilevarsi che la sentenza n. 1596 del 2001 evoca la categoria della inefficacia, che presuppone la validità dell'atto, e si limi- ta ad affermare la non operatività della nullità in applicazione analogica dell'art. 771, primo comma, cod. civ., in considerazione di una pretesa natura eccezionale della causa di nullità derivante dall'avere la donazione ad oggetto beni futuri, ma non verifica la compatibilità della donazione di cosa altrui con la funzione e con la causa del contratto di donazione. La soluzione prospettata appare, quindi, non condivisibile, vuoi perché attri- buisce al divieto di cui alla citata disposizione la natura di disposizione ec- 9 - cezionale, insuscettibile di interpretazione analogica; vuoi e soprattutto perché non considera la causa del contratto di donazione. Al contrario, una piana lettura dell'art. 769 cod. civ. dovrebbe indurre a ritenere che l'appartenenza del bene oggetto di donazione al donante co- stituisca elemento essenziale del contratto di donazione, in mancanza del quale la causa tipica del contratto stesso non può realizzarsi. Recita, in- fatti, la citata disposizione: «La donazione è il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l'altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa una obbligazione». Elementi costitutivi della donazione sono, quindi, l'arricchimento del terzo con correlativo depauperamento del donante e lo spirito di liberalità, il c.d. animus donandi, che connota il depauperamento del donante e l'ar- ricchimento del donatario e che, nella giurisprudenza di questa Corte, va ravvisato «nella consapevolezza dell'uno di attribuire all'altro un vantag- gio patrimoniale in assenza di qualsivoglia costrizione, giuridica o mora- le» (Cass, n. 8018 del 2012; Cass. n. 12325 del 1998; Cass. n. 1411 dei 1997; Cass. n. 3621 del 1980). Appare evidente che, in disparte il caso della donazione effettuata me- diante assunzione di una obbligazione, nella quale oggetto dell'obbligazione del donante sia il trasferimento al donatario di un bene della cui appartenenza ad un terzo le parti siano consapevoli, l'esistenza nel patrimonio del donante del bene che questi intende donare rappre- senti elemento costitutivo del contratto; e la consustanzialità di tale ap- partenenza alla donazione è delineata in modo chiaro ed efficace dalla ci- tata disposizione attraverso il riferimento all'oggetto della disposizione, individuato in un diritto del donante ("un suo diritto"). La non ricorrenza di tale situazione - certamente nel caso in cui né il donante né il donata- rio ne siano consapevoli, nel qual caso potrebbe aversi un'efficacia obbli- gatoria della donazione - comporta la non riconducibilità della donazione di cosa altrui allo schema negoziale della donazione, di cui all'art. 769 cod. civ. In altri termini, prima ancora che per la possibile riconducibilità del bene altrui nella categoria dei beni futuri, di cui all'art. 771, primo comma, cod. civ., la altruità del bene incide sulla possibilità stessa di ri- condurre il trasferimento di un bene non appartenente al donante nello schema della donazione dispositiva e quindi sulla possibilità di realizzare la causa del contratto (incremento del patrimonio altrui, con depaupera- mento del proprio). 5.2. - La mancanza, nel codice del 1942, di una espressa previsione di nullità della donazione di cosa altrui, dunque, non può di per sé valere a ricondurre la fattispecie nella categoria del negozio inefficace. Invero, come si è notato in dottrina, il fatto stesso che il legislatore del codice ci- vile abbia autonomamente disciplinato sia la compravendita di cosa futu- ra che quella di cosa altrui, mentre nulla abbia stabilito per la donazione a non domino, dovrebbe suggerire all'interprete di collegare il divieto di liberalità aventi ad oggetto cose d'altri alla struttura e funzione del con- tratto di donazione, piuttosto che ad un esplicito divieto di legge. Pertan- to, posto che l'art. 1325 cod. civ. individua tra i requisiti del contratto "la causa"; che, ai sensi dell'art. 1418, secondo comma, cod. civ., la man- canza di uno dei requisiti indicati dal'art. 1325 cod. civ. produce la nullità del contratto; e che l'altruità del bene non consente di ritenere integrata la causa del contratto di donazione, deve concludersi che la donazione di un bene altrui è nulla. 5.3. - Con riferimento alla donazione deve quindi affermarsi che se il be- ne si trova nel patrimonio del donante al momento della stipula del con- tratto, la donazione, in quanto dispositiva, è valida ed efficace; se, inve- ce, la cosa non appartiene al donante, questi deve assumere espressa- mente e formalmente nell'atto l'obbligazione di procurare l'acquisto dal terzo al donatario. La donazione di bene altrui vale, pertanto, come donazione obbligatoria di dare, purché l'altruità sia conosciuta dal donante, e tale consapevolez- za risulti da un'apposita espressa affermazione nell'atto pubblico (art. 782 cod. civ.). Se, invece, l'altruità del bene donato non risulti dal titolo e non sia nota alle parti, il contratto non potrà produrre effetti obbligatori, né potrà applicarsi la disciplina della vendita di cosa altrui. 5.4. - La sanzione di nullità si applica normalmente alla donazione di beni che il donante ritenga, per errore, propri, perché la mancata conoscenza dell'altruità determina l'impossibilità assoluta di realizzazione del pro- gramma negoziale, e, quindi, la carenza della causa donativa. La dona- zione di bene non appartenente al donante e quindi affetta da una causa di nullità autonoma e indipendente rispetto a quella prevista dall'art. 771 cod. civ., ai sensi del combinato disposto dell'art. 769 cod. civ. (il donan- te deve disporre «di un suo diritto») e degli artt. 1325 e 1418, secondo comma, cod. civ. In sostanza, avendo l'animus donandi rilievo causale, esso deve essere precisamente delineato nell'atto pubblico; in difetto, la causa della donazione sarebbe frustrata non già dall'altruità del diritto in sé, quanto dal fatto che il donante non assuma l'obbligazione di procurare l'acquisto del bene dal terzo. 5.5. - Alle medesime conclusioni deve pervenirsi per il caso in cui, come nella specie, oggetto della donazione sia un bene solo in parte altrui, per- ché appartenente pro indiviso a più comproprietari per quote differenti e donato per la sua quota da uno dei coeredi. Non è, Infatti, dato compren- dere quale effettiva differenza corra tra i "beni altrui" e quelli "eventual- mente altrui", trattandosi, nell'uno e nell'altro caso, di beni non presenti, nella loro oggettività, nel patrimonio del donante al momento dell'atto, l'unico rilevante al fine di valutarne la conformità all'ordinamento. In sostanza, la posizione del coerede che dona uno dei beni compresi nel- la comunione (ovviamente, nel caso in cui la comunione abbia ad oggetto una pluralità di beni) non si distingue in nulla da quella di qualsivoglia al- tro donante che disponga di un diritto che, al momento dell'atto, non può ritenersi incluso nel suo patrimonio. Né una distinzione può desumersi dall'art. 757 cod. civ., in base al quale ogni coerede è reputato solo e immediato successore in tutti i beni com- ponenti la sua quota o a lui pervenuti dalla successione anche se per ac- quisto all'incanto e si considera come se non avesse mai avuto la proprie- tà degli atri beni ereditari. Invero, proprio la detta previsione impedisce di consentire che il coerede possa disporre, non della sua quota di parte- cipazione alla comunione ereditaria, ma di una quota del singolo bene compreso nella massa destinata ad essere divisa, prima che la divisione venga operata e il bene entri a far parte del suo patrimonio. 6. - In conclusione, deve affermarsi il seguente principio di diritto: «La donazione di un bene altrui, benché non espressamente vietata, deve ri- tenersi nulla per difetto di causa, a meno che nell'atto si affermi espres- samente che il donante sia consapevole dell'attuale non appartenenza del bene al suo patrimonio. Ne consegue che la donazione, da parte del coe- rade, della quota di un bene indiviso compreso in una massa ereditaria è - 12 - nulla, non potendosi, prima della divisione, ritenere che il singolo bene faccia parte del patrimonio del coerede donante ». 7. In applicazione di tale principio, il ricorso deve essere quindi rigettato. Non possono essere infatti condivise le deduzioni dei ricorrenti in ordine alla circostanza che l'atto di donazione riguardava non solo una quota e- reditaria del bene specificamente oggetto di donazione, ma anche una quota della quale il donante era già titolare per averla acquistata per atto inter vivos. Invero, posto che è indiscutibile che l'atto di donazione aveva ad oggetto la quota di un dodicesimo dei beni immobili indicati nell'atto stesso rientrante nella comunione ereditaria, deve ritenersi che non sia possibile operare la prospettata distinzione tra la donazione dei quattro dodicesimi riferibili al donante e del restante dodicesimo, comportando l'esistenza di tale quota la attrazione dei beni menzionati nella disciplina della comunione ereditaria. Ne consegue che la nullità dell'atto di dona- zione per la parte relativa alla quota ereditaria comporta la nullità dell'intero atto, ai sensi dell'art. 1419 cod, civ,, non risultando che nei precedenti gradi di giudizio sia emersa la volontà del donatario di affer- mare la validità della donazione per la quota spettante al donante. D'altra parte, non può non rilevarsi che l'inclusione, anche se solo in par- te, degli immobili oggetto di donazione nella comunione ereditaria com- portava la astratta possibilità della loro assegnazione, in sede di divisio- ne, a soggetto diverso dal donante; con ciò dimostrandosi ulteriormente la sostanziale inscindibilità della volontà negoziale manifestatasi con l'atto di donazione dichiarato nullo dal Tribunale di Reggio Calabria, con sen- tenza confermata dalla Corte d'appello. S. - In conclusione, il ricorso va rigettato. In considerazione della complessità della questione e dei diversi orienta- menti giurisprudenziali, che hanno reso necessario l'intervento delle Se- zioni Unite, le spese del giudizio possono essere interamente compensate tra le parti. PER QUESTI MOTIVI La Corte, pronunciando a Sezioni Unite, rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di cassazione. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte suprema di cassazione, in data 10 marzo 2015.


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